L’ARCA DELLA SALUTE GLOBALE
Dacché esiste, il termine “salute” è una prodigiosa calamita per aggettivi, l’ultimo dei quali è il più ambizioso di tutti: “globale”. È stata nientemeno che l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) a introdurre la nozione portentosa ed ecumenica di “salute globale”, scatenando una diatriba di lungo corso tra analisti e commentatori sanitari: come può la salute, per definizione attributo del singolo individuo, dirsi globale? Col tempo si è convenuto che, accostato a “salute”, l’aggettivo “globale” assume almeno tre accezioni, diverse ma complementari. La prima: salute della persona nel senso totale del termine, dunque come benessere fisico, mentale e sociale, non come semplice assenza della malattia. È una definizione celebre e grandiosa, messa sul tavolo un po’ astrattamente dalla stessa OMS, ma quanto mai complicata da realizzare nella pratica clinica: l’appello al benessere bio-psico-sociale stabilisce uno standard così elevato di salute che non sempre lo si può garantire, non a chiunque, non ancora. C’è il rischio che a concepire il benessere così si finisca col generare aspettative di salute (e di cura) esagerate e non attuabili, o che ci si ritrovi a sentirsi tutti più o meno malati sotto qualche aspetto non soddisfacente della vita. Più che un principio normativo da conseguire, allora, l’ampia e audace definizione dell’OMS è un ideale regolativo, l’optimum che dà direzione e scopo a ogni sistema sanitario: il benessere come appagamento, realizzazione personale, anche come felicità, perché in fondo il benessere non può essere disgiunto dalla felicità, non si può “star bene” ed essere infelici. La salute globale è anzitutto questa cosa qui: una sorta di stella polare, di orizzonte verso cui dovremmo tendere tutti come individui e come collettività.
C’è poi la seconda accezione: salute globale come salute della persona e dell’ambiente in cui vive, agisce, si ammala, guarisce. È la salute della rete Città Sane: salute civica, salute della città, dei quartieri, delle scuole, dei parchi urbani, tanto più globale quanto più riesce a radicarsi nei contesti locali. È la salute dei borghi, dei paesi, dei territori e delle aree interne, ma anche salute degli ospedali e delle case di cura: benessere in primis di chi la salute la crea e la mantiene. Globale è la salute del villaggio protetto di Hogewey, in Olanda, fatto su misura per le persone con demenza o Alzheimer che qui vivono un’esistenza del tutto normale, assistiti da operatori sanitari vestiti da comuni cittadini: il “villaggio dei senza memoria”, lo chiamano, esperimento di umanizzazione delle cure, certo, ma soprattutto oasi di umanità e benessere nel modo forse più compiuto in cui lo si possa immaginare. Ma globale è anche la salute animale, salute degli allevamenti e della fauna selvatica, degli ecosistemi e degli habitat, salute del clima, salute dei mari, perché se quelli si ammalano finisce che ci ammaliamo anche noi. È salute del cibo e del suolo, salute “circolare” nel senso di Ilaria Capua, la “salute unica” di Rudolf Virchow, che per primo mise in relazione benessere umano e animale, o di Rachel Carson, nella sua tutt’altro che silenziosa battaglia ai veleni dispersi in natura. È la salute di Papa Francesco, che nell'enciclica Laudato si’ parla di “salute integrale” per descrivere quel delicato equilibrio tra benessere umano, animale e ambientale, perché nessuno può pensare di vivere a lungo in un ambiente che muore. Globale è la salute del battito d’ali di farfalla, in qualche angolo del mondo che ci riguarda, benessere come biodiversità. La salute globale è un’arca di Noè.
Infine, la terza accezione: salute globale come salute dei popoli e delle genti, salute delle comunità, salute equa e accessibile, giusta e paritaria, salute degli ultimi, salute di frontiera e senza confini, salute come diritto umano fondamentale, dunque salute globale. È la salute errante e planetaria dei Medici con l’Africa Cuamm, la salute come prima forma di dignità umana, come conquista politica, sociale, persino morale. Salute globale come sconfitta della povertà e della fame nel mondo, salute come acqua pubblica, servizi igenico-sanitari di base, energia pulita e accessibile, salute come lavoro dignitoso, salute come fine dello sfruttamento, salute come fine della guerra e della sua indecenza. La globalizzazione ha investito anche la salute, l’ha travolta, e quella ha cominciato a muoversi attraverso i confini, a migrare, mettendo così in crisi i sistemi sanitari locali e nazionali che alla rigidità di quei confini si sono da sempre attenuti. Globale è la salute sa raggiungere chi è lontano, perché curare l’Altro lontano significa prevenire la malattia dell’Altro che ci sta a fianco. Globale è la salute in movimento su un pianeta di eguali.
Sappiamo da tempo di vivere in un mondo sempre più interconnesso e interdipendente, anche per quel che riguarda la salute, e tuttavia non ci crediamo veramente: perché? Dice lo scrittore Jonathan Safran Foer che tra sapere e credere c’è come un balzo cognitivo, un solco morale: possiamo sapere esattamente cosa dovremmo fare, eppure non crederci abbastanza per farlo davvero. All’alba della Seconda guerra mondiale, scrive Foer, tutti gli ebrei polacchi, sapevano che i nazisti si stavano avvicinando e avrebbero presto bussato alla loro porta. Quelli che, oltre a saperlo, ci credevano, come la nonna dello stesso Foer, hanno avuto la forza di compiere una scelta radicale: hanno abbandonato la loro casa, e si sono salvati. Mutatis mutandis, quel che l’OMS ci invita a fare con la sua definizione così ambiziosa e dal triplice significato di “salute globale” è abbandonare un modello di benessere individuale, locale, limitato, non più al passo coi tempi. Un modello di benessere basato su un’assurda e insostenibile sproporzione tra la ristrettezza di ciò che consideriamo salute e la vastità dei determinanti che contribuiscono a realizzarla. Per chi fa programmazione socio-sanitaria è come lasciare improvvisamente la casa in cui si vive da sempre, con nessuna certezza su come andrà a finire il viaggio cui siamo chiamati. Salute globale è un modo di salvarsi salvando, un modo di salvarsi assieme.
Un'anticipazione dell’intervento di Federsanità ANCI Veneto al XXXIII Corso Superiore di Geriatria “Ben-Essere è bene globale”, in programma il 28 novembre presso l’Azienda Ospedaliera Universitaria di Verona.
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